Il rumore del santoku sul tagliere di legno d’ulivo mentre taglio carote a dadini per il soffritto, netto, preciso e secco.
L’acqua che borbotta mentre bolle in attesa della pasta e il vapore che sale in movimento continuo, come un coro gospel.
I miei denti che mordono un pezzo di sedano croccante rubato alle preparazioni.
Le mezze maniche che scivolano dal contenitore al piatto della bilancia.
Poi le penne.
Poi i risoni.
Poi il riso.
Suoni ogni volta differenti, dal più grave al più acuto. L’avete mai notato? Che ogni pasta ha il suo rumore: perfino gli gnocchi fanno un piccolo *puf* nel piatto.
Il rumore della mannaia tenuta a due mani, che fende l'aria per tagliare il collo del fagiano selvatico, che si mischia al mio respiro trattenuto.
Quello del guanciale rigorosamente assisano che sfrigola lento nel suo stesso grasso.
Quello della mezzaluna che va e torna rapida sminuzzando prezzemolo.
Quello del coltello, più preciso, sminuzzando rosmarino ed erbe aromatiche.
Quello lieve lieve, mentre eviscero pesce fresco.
Quello sussurrato, della pasta che lievita nella ciotola in vetro, al caldo.
Mi manca la cucina. Mi manca cucinare, per piacere. Mi manca cucinare quello che mi gira.
Mi manca soprattutto, il poterlo mangiare.
E questo pensiero ha il rumore di una tazza che cade e va in frantumi, spargendo per gli angoli della casa la sua essenza che era e non sarà più.
Tornerò a godere dei rumori.
E dei profumi, almeno.
Nessun commento:
Posta un commento