27.11.15

dimmi che ci sei

Ti prego, dimmi che ci sei.
Preferirei mille volte che tu fossi felice e senza pensieri e che guardassi giù solo ogni tanto, per una carezza.
Ma dimmi che ci sei ancora
e che questa notte qualche incubo a chi di dovere, lo farai ben venire.

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Quando si arriva a profanare una tomba per vil denaro,
quando non c'è più neanche il rispetto per i morti,
davvero,
si è toccato il fondo più marcio che esista.

23.10.15

Appunti mentali di epifanie notturne

Ultimamente, oltre di moto, sto parlando di fotografia. 
L’Orsa non si ritiene una brava fotografa, anzi, anche se le piace molto trovare frasi o versi o didascalie alle foto che scatta. 
Ho avuto la fortuna di incontrare persone che “ne sanno” e con cui ho potuto parlare della “bellezza” a cui si cerca di dare voce nel fotografare corpi, specialmente  a quelli delle donne.

Tutto questo mi ha portato a riflettere sul rapporto che ho con il mio corpo e con il mio corpo segnato dalla malattia. Il problema è che io non riesco a vederla l'eventuale bellezza del mio. La bellezza in questo corpo in disfacimento dall' interno, in disfacimento all'esterno, non per età ma per malattia, io non la vedo.

Sono cicatrici che non scompaiono e non credevo fosse davvero ancora così

E’ come se vedessi ogni volta solo i difetti: le smagliature, la cellulite, le cicatrici…  Come se provassi ancora quella sensazione brutta, nel contare le mie costole come un Cristo deposto dalla croce, che ho provato tornando a casa dall'ospedale.

Sono felice di come sono ora, spessissimo mi piaccio, vestita bene, con i tacchi, truccata.

Ma non posso dire di amare il mio corpo. Ci tolleriamo a vicenda.

Mi è tornato in mente un post di Anna (animabella, quanto mi manchi e quanto ci sei sempre!) e mi ha fatto rendere conto che il mio percorso per riappropriarmi del mio corpo è ancora tutto in salita, più di quanto pensassi.

E che forse sì, guardarmi con occhi pieni di tenerezza, potrebbe aiutare.


21.10.15

Il mattino e altre perle

Mattina, sempre senza caffè, interno macchina, ore 7.40.
"Mamma, ma tu quando sei nata?"
"Il **/**/****, amore"
"Ah. E prima che nascevi te non C'era niente niente niente e poi Gesù ha creato il mondo e poi ha creato te"
"Errr... sì, non sono così vecchia, ma più o meno è andata così. Ma è Dio che ha creato il mondo, non Gesù."
"No mamma. Il mondo l'ha creato Gesù."
"No bimba, l'ha creato Dio, il papà di Gesù"
"COSA DICI, MAMMA!! È GIUSEPPE IL PAPÀ DI GESÙ!!! DIO È SUO NONNO!!!"
"..........Errr.......... eh bimba è un po' più complicato di così........perché non chiedi alla tua maestra di spiegartelo?"
"..mm... sì. Penso proprio che farò così".

AIUTO. davvero.

Fagiani, serate assurde e pensieri a go go

Ieri sera, tornando a casa nel buio della Brianza, ho trovato nella discesa ai box un fagiano femmina.
Un posto decisamente insolito! La poverina però si è spaventata tantissimo e ha cercato di scappare volando via, non rendendosi conto che sopra di lei c'era un soffitto di cemento durissimo. Uno, due, tre colpi tremendi, dettati dal bisogno di scappare, dalla paura, dall'adrenalina. E poi basta. Ha agonizzato un minuto o poco meno, ed è morta lì sotto i miei occhi.

Era bellissima.
Erano anni che non ne vedevo una da così vicino.
Aveva le piume "vive" e già riempite di piumetta invernale.
Era meravigliosa e morta.

Mi sono sentita uno schifo.
Lo so, non ho colpe particolari, eppure è stata talmente una morte incomprensibile e sbagliata che tutto questo ha cominciato a "lavorare" dentro di me, segno di un altro tipo di malessere.

E quindi.
Come Samarcanda docet, non si sfugge alla Morte. Puoi scappare agli spari dei cacciatori, ma se è il tuo momento, è il tuo momento punto. Senza se e senza ma.

E soprattutto.
Cara Orsa, non puoi salvare tutti, rassegnati.
O se proprio non sei capace di abbassare il capo, continua nella tua battaglia contro i mulini a vento, sapendo già però che qualcuno lo perderai sul campo.

E' preciso, matematico e un dato di fatto, soprattutto perché per salvare qualcuno, quel qualcuno deve voler essere salvato.

Se no, fa la fine della fagiana.

12.10.15

Sabato sera -

Non pensavo si potessero davvero azzerare i pensieri.
Non pensare a nulla e avere il sorriso sulla faccia, guardando il profilo dell'orizzonte sfilare a fianco, sui toni del viola e del blu dopo un tramonto già passato che si tramuta in notte.
Fluire solo con la moto, piegando quando c'è da piegare, frenando quando c'è da frenare, ascoltando le vibrazioni che la strada impone, il rombo del motore e il vento all'interno del casco.

E non pensare
davvero
a niente.

Nulla.

Il silenzio più totale.

La pace dell'anima, della mente, del cuore,
tutto incredibilmente fermo e immobile.

Rilassare i muscoli, le braccia, il viso contratto, il respiro che rallenta tranquillo,la vita che passa sotto i miei piedi una curva dopo l'altra, senza fare male.

Senza dire una parola,
ne con la bocca, ne con il cuore.

7.10.15

Scighera

Scighera.
La nebbia, come si dice da queste parti.
Questa mattina l'ho trovata alla soglia di casa e mi sono stupita: è la prima dell'autunno e mi sembra così presto.

Era una nebbiolina leggera, grigina, che si era adagiata sui campi come una coperta leggera e delicata.

Avrei voluto fermarmi e odorarla, fotografarla, lasciare che mi scorresse addosso.

Scighera. Che nome buffo, no?

2.10.15

Passaggio di testimone

Ci sono ricette che sono preziosi ricordi.
Quella di oggi ha un profumo e un gusto particolare: sa di infanzia, di legame materno, di partecipazione alla preparazione della festa.

E' una ricetta preziosa, che profuma la casa dal giorno prima della cottura, inebriando i sensi di cioccolato fondente, di cacao amaro, di amaretti, biscotti secchi, rum e cognac.

E' una torta impegnativa e verso la quale ho sempre un timore reverenziale: domani la cottura.

Oggi l'assaggio dell'impasto, affidato a mia figlia, come una volta facevo io prima di lei:
"Orsetta, ci sono tutti i sapori? Secondo te è abbastanza dolce o ci vuole ancora un po' di zucchero?"
E ci ha pensato, seriamente e mi ha risposto, con suo gusto e allo stesso tempo correttamente.

Era felicissima, lei, investita dell'onere-onore.

Sono con le lacrime agli occhi, io, ora che posso non farmi vedere.

18.9.15

E tutto parla ancora di te,
come questa stupida cartelletta
con i vecchi "studi di settore".

Oggi mi sa che non ce la faccio
a farcela.

15.9.15

Rumori

Oggi ho per la testa solo rumori di cucina.
Il rumore del santoku sul tagliere di legno d’ulivo mentre taglio carote a dadini per il soffritto, netto, preciso e secco.
L’acqua che borbotta mentre bolle in attesa della pasta e il vapore che sale in movimento continuo, come un coro gospel.
I miei denti che mordono un pezzo di sedano croccante rubato alle preparazioni.
Le mezze maniche che scivolano dal contenitore al piatto della bilancia.
Poi le penne.
Poi i risoni.
Poi il riso.
Suoni ogni volta differenti, dal più grave al più acuto. L’avete mai notato? Che ogni pasta ha il suo rumore: perfino gli gnocchi fanno un piccolo *puf* nel piatto.
Il rumore della mannaia tenuta a due mani, che fende l'aria per tagliare il collo del fagiano selvatico, che si mischia al mio respiro trattenuto.
Quello del guanciale rigorosamente assisano che sfrigola lento nel suo stesso grasso.
Quello della mezzaluna che va e torna rapida sminuzzando prezzemolo.
Quello del coltello, più preciso, sminuzzando rosmarino ed erbe aromatiche.
Quello lieve lieve, mentre eviscero pesce fresco.
Quello sussurrato, della pasta che lievita nella ciotola in vetro, al caldo.
Mi manca la cucina. Mi manca cucinare, per piacere. Mi manca cucinare quello che mi gira.

Mi manca soprattutto, il poterlo mangiare.
E questo pensiero ha il rumore di una tazza che cade e va in frantumi, spargendo per gli angoli della casa la sua essenza che era e non sarà più.

Tornerò a godere dei rumori.
E dei profumi, almeno.

11.9.15

Orsina

Dialogo tra l'Orsina e i nonni.

O: Nonni, voi siete vecchi?
N: eh sì Orsina, siamo vecchi.
O: E quindi prima o poi morirete e andrete in Paradiso
N: err... S-sì Orsina, prima o poi.
O: E, nonno, se muore prima la nonna e tu resti da solo, come fai? Trovi un'altra moglie?
N: Nono!!! Mi è già bastata la nonna!!!
O: E, ma non puoi restare da solo! Facciamo così: nonna, aspetti a morire che divento grande così poi faccio io la moglie del nonno e gli tengo compagnia e così lui non è solo?

Orsina, quattro anni.
Ecco come sta metabolizzando lei il lutto.

Quella che stamattina mi ha chiesto "Mamma, che cos'è il destino?"

Chi crede nel destino, figlia mia, crede che le cose che accadano siano già scritte, come in un libro. Per esempio, anche il fatto che noi abbiamo fatto tardi oggi e che tu stai facendo colazione in macchina, anche quello era già scritto sul libro delle nostre vite e non si può modificare.
Alcuni lo chiamano Destino, altri Fato, altri ancora Disegno di Dio.
Lo so che Elsa in Frozen dice "da oggi il destino appartiene a me". E sai perché lo dice? Perché è come se dicesse "da oggi non lascio più che qualcun altro scriva la mia vita. Da oggi le mie scelte, le mie decisioni, il mio ... Destino, lo scelgo da sola". Ecco, la mamma la pensa come Elsa.

9.9.15

Onda lunga

E poi l'onda lunga arriva, dopo quattro ore di sonno, alle 2.26 di notte, complice la sveglia per richiesta d'acqua dell'Orsina.

E la accolgo, e ci finisco in mezzo e mi abbandono a un pianto liberatorio: il sigarillo ha sciolto gli argini della diga e i sentimenti hanno potuto fluire liberi.

Non ho paura della morte.
Ho paura di tutto il dolore che porta insieme a tutti i "mai più" moltiplicati per il numero di zii e zie. E sono davvero tanti.

8.9.15

Attimi

Entra il fumo acre, aspirato con voglia,
esce tutto il nero stipato nei polmoni.

Respiri profondi per espirare meglio.

Fumo avidamente il mio sigarillo alla vaniglia.
Avidamente elimino ogni dolore, nero, paura.

Resta circoscritto all'attimo,
resta il vizio del momento limitato nel tempo.

Non ci sarà più tardi,
non ci sarà domani.

Per pulirmi l'anima e smuovere ciò che è senza senso,
devo sporcarmi i polmoni di caldo fumo denso.

7.9.15

Mai più e per sempre

Sabato è stata una bella giornata.
Un blog-versario felice, un matrimonio di amici a cui mi sono divertita molto.

E poi.

E poi la chiamata che sapevi prima o poi sarebbe arrivata: la zia terminale che se ne è andata a poco più di due mesi dalla diagnosi.

E allora ti togli l'abitino corto, i tacchi, le forcine, il trucco e infili i jeans, le scarpe da ginnastica, il felpone pesante e un mollettone nei capelli e vai. E niente trucco, che non servono più maschere ma solo facce vere, libere di piangere e mordersi le labbra se necessario, senza il pensiero di sporcarsi di nero e rosso vivo.

E la tua presenza richiesta tra le righe, timidamente, è accettata e diventa parte importante.
Perché ti trasformi nell'Orsa che sa che non può dare spazio ai sentimenti cupi, perché c'è bisogno di qualcuno di freddo e razionale e lo diventi, automaticamente: fredda e calda insieme, come i tuoi occhi. E agisci. Anche se sei la più "piccola", agisci.

E il Nero non ha spazio, e insieme alla razionalità compare anche la serenità di una malattia senza sofferenza se non nelle ultimissime ore sedate dalla morfina, di un riavvicinamento sincero di tutti i nipoti, senza secondi fini.

E poi la visita delle persone e i "non voglio vederla, dopo non dormo di notte. Voglio ricordarmela com'era" e i "non sono andato a trovarla perché pensavo solo di disturbare e che non avesse piacere" (mi chiedo su che basi) e la mia faccia stupita, e il loro imbarazzo.

E i ricordi, i tanti ricordi di quella casa, dalle piastrelle ai quadri appesi, allo zucchero macchiato di caffè e acqua frizzante di quando ero una nanina poco più grande dell'Orsetta.

E ora, un piccolo seme di dolore si apre.
Ora, oggi, pensando ad Anna, ad O. e a mia Zia, ultima di un elenco sempre più lungo.

Sento il bisogno di un sigarillo, per sputare fuori con il fumo questo male, o per anestetizzarlo, o per fare finta che non ci sia.

Ma resto qui, sconclusionata, ad attendere l'onda grossa che arriverà, ne sono certa e spero questa volta di riuscire a non affogare.

5.9.15

“Sorseggia la vita senza fretta,
con dolcezza.
Cerca di non sprecarne neanche una goccia
e di bere con un Amico al tuo fianco,
anche se orso
anche se oste.”
05 settembre 2005

Il primo post della Taverna.

Rileggendo i primi post, mi sembra di essere un’altra, di non saper scrivere più così profondamente. Recentemente l’ho pure detto a qualcuno: mi sembra di peggiorare negli anni con la scrittura, non di evolvere.

Ma la Taverna è qui, con 10 anni di storia alle spalle, ed oggi è il suo blog-compleanno!

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Con sommo dispiacere quest’anno non mi sono lasciata interrogare dalla voce della montagna: arrivavo da troppi mesi di tensione e il vento è riuscito solamente a levigarmi e a prepararmi per il mare.

Quest’anno è il mare ad avermi parlato e a lungo.

Un giorno, in particolare, senza sole, con le onde alte; era pomeriggio, ero sola (senza figlia ne marito) in spiaggia e mi sono tuffata lo stesso, nonostante i flutti, insieme a pochi pazzi, ricacciando indietro la domanda “e se ti succede qualcosa e non hai dietro neppure la carta di identità?” tipica da nonna apprensiva.

Sono rimasta lì un’ora buona a lasciarmi trasportare da quella massa potente. Venivo sollevata con i piedi almeno a un metro da terra e non riuscivo a fare altro che ridere come una matta!

All'improvviso mi sono resa conto che la mia vita dell’ultimo anno era stata come essere immersi in quelle onde, con la sostanziale differenza che ho cercato ogni volta di dare spallate invece che adeguarmi al flusso, con la sensazione di essere sola al mondo anche se non lo ero davvero e senza la carta di identità a ricordarmi chi ero in tutto quel trambusto.

Sono finita una volta sott'acqua e ho pensato a quante volte nei mesi ci sono finita, senza respiro.
Ho cercato di uscire dal mare, ma con la sua forza mi risucchiava dentro e per poco non ho rischiato di cadere: sembrava davvero impossibile uscirne sul serio.

E una volta fuori? Ho desiderato subito tornare dentro a quell’agglomerato di potenza e forza e movimento. E ci sono tornata. E in mezzo a quel non essere padrona di me stessa e di dove potevo andare, ridevo come una matta.

E’ inutile pensare di non essere più quella di un tempo: lo sono e non lo sono, come una bottiglia di Sagrantino che invecchia. Se penso a quanto poco posso bere vino ora! Se penso che non potrei proprio! Io, che ho aperto una “Taverna” virtuale dove versare bottiglie di vita! Che Crohn mi abbia influenzata anche in questo senso e il “non bere” fisico abbia influenzato il “non gustare appieno” le bottiglie che la vita mi ha proposto?

E’ inutile pensare di cambiare tipo di vita: posso smussarla e migliorarla in parte, ma è a questa vita che appartengo e che voglio appartenere e devo eliminare i paravento che si sono creati con gli anni per non mostrarmi più angoli bui e anche angoli assolati di questo luogo che è l’essere me.

Si abbandonano passioni, se ne aggiungono di nuove, si coccolano quelle vecchie: vorrei saper tornare a scrivere in versi semplicemente, ma mi riesce così difficile ora… questo sì lo rimpiango, perché vuol dire che non riesco più a sentire il mio cuore dialogare con l’anima, mentre prima mi uscivano versi tipo

“...Colorami di vita...
Che cosa useresti?”

Con la stessa facilità con cui dicevo:

“Chessimangia stassera…
Pizza?”

In realtà, pensandoci meglio non è che non sento più il cuore dialogare con l’anima: è che si è messo di mezzo il cervello!

Ci sono arrivata all'improvviso, ragionando su un discorso fatto con un Ghost Rider incontrato per caso: all'inizio della Taverna per scrivere versi mi bastava staccare il cervello e lasciare libero spazio a cuore e anima, ma ora non più… Il cervello non ne vuol sapere di scollegarsi, vuol dire la sua, vuol dare il suo punto di vista, la sua inquadratura. Ma non mi è impossibile scrivere versi, devo solo lasciare che questi tre amici si accordino sul soggetto, l’oggetto e il punto di vista da prendere, come per fare una bella foto, come per comporre una nuova canzone.

Taverna mia, non sei più il posto delle sole bevute spensierate e ridanciane! Stai diventando il circolo dove fumare un buon sigaro e bere bene, dove ridere ovvio, ma anche dove parlare di cose serie, serissime.

Ti voglio bene. E volendo bene a te scopro di volerne un po’ di più a me stessa e a tutti quelli che hanno lasciato un segno sui tuoi tavoli, sui tuoi bicchieri, e a quelli che incontrerò nuovi e di passaggio, anche se sono sempre meno dato che il web ha altri tempi ed altri spazi rispetto a dieci anni fa.

Che senso hai? Chiedevo qualche tempo fa, data la raccolta di nero che ti accompagnava.
Hai il senso di essere me, di raccogliere tutti i pezzi di me, o almeno di raccogliere quelli che non voglio si perdano nella memoria dei giorni. Hai il senso dell’incontro, della condivisione, del percorso di analisi privato e pubblico insieme. Hai, ancora dopo dieci anni, molto moltissimo senso.

E quindi Prosit! Taverna mia,  Za zdorovie!
E Spasiba, di vero cuore.

Buon viaggio, lacio drom.

Buon viaggio, share the love.

7.8.15

Amatela tutta questa estate,
amatela a pieno, amatela anche se non vi dovesse ricambiare.
Amatela di giorno, anche nella calura.
Amatela di notte e dialogate con le stelle, se possibile.

Arriverà settembre e il decimo blog compleanno, ma ora,
amate l'estate in cui siamo.

Buon viaggio, lacio drom
Buon viaggio, share the love.

31.7.15

Tabù e post peso

Ho bisogno di sputare fuori questa cosa, anche se è un po' che ne parlo con chi amo e ancora di più che ci medito da sola, ma non ne vengo a capo.

Oh insomma, è inutile che ci giro intorno, non c'è un modo delicato per dirlo.

E' giusto non informare un proprio caro del fatto che è malato terminale?

Ogni caso è a se. Ogni persona lo è. E potremmo stare qui ore a dire "bhe che cambia se glie lo dici e lo sa?".

La domanda cambia ancora.

Sapete che mi sono fatta i miei 20 giorni di ospedale.
Sapete che ci stavo lasciando le penne
che mi hanno ripresa per i capelli.

Forse non sapete, che parecchie sere mi sono chiesta se sarei mai uscita di lì.
(ricaduta pesissima nonostante 3 antibiotici in vena costantemente e altre amenità)

Se dovesse succedermi ancora, se dovessi essere sul serio irrecuperabile, terminale, insomma...
Lo vorrei sapere?
E,
me lo direbbero?

Ho una figlia piccola, così ancora piccola e avrei da dire ancora così tanto... Vorrei saperlo per potermi organizzare e scriverle almeno qualcosa... Vorrei saperlo per passare con lei e marito ogni secondo vivibile in modo decoroso,,, Vorrei saperlo anche se non so se avrei la forza di camminare diritta verso il limite ultimo.

A che età dei figli viene concesso/imposto/diventa accettabile il non far sapere all'ammalato?

Anna aveva ragione, la Morte è ancora un grande tabù.
In questi anni ne sto venendo a contatto e a patti, tante e tante volte.
Non giudico nessuno per le scelte fatte: appunto, le storie sono tante e diverse, le persone anche.
Giudico me stessa però. E giudico l'educazione che sto dando a mia figlia.
E ho ancora paura di quello che arrivare alla morte comporta.

E un po' di chiarezza in più con questo post tabù è arrivata.

26.7.15

quattro

Sto piangendo.
Sono due giorni che sto vivendo il pre parto e il parto di quattro anni fa, emotivamente e fisicamente... Non chiamate la neuro!!
Quattro anni e mi sembra stia accadendo tutto ora, mentre sento il respiro leggero della mia Polpetta nella camera accanto e penso a tutto quello che è cambiato nella mia vita in questi quattro anni.
Come corri, come cresci bene, merito di chi sta con te tutto il giorno, come scivoli via dalle mie braccia...
Ti voglio bene Orsettina.

19.7.15

Il problema non è entrare in un hospice.
Cammini, arrivi, lasci che le porte automatiche si aprano.
Sali i gradini e lasci che il tuo corpo si abitui alla nuova temperatura, che si abitui alla luce.
Lasci che i nervi si distendano con il suono della piccola fontana - piscinetta che c'è all'ingresso.
Lasci che i muscoli del viso si distendano guardando il salone colorato, "l'area relax".
Poi prendi un respiro e percorri i metri che ti separano dalla stanza e guardi con discrezione, perché magari hai capito male il numero, e poi ci arrivi, alla stanza.
E ci entri.

Il problema non è neanche parlare con chi è degente.
Coccolarlo, sorridere, parlare e stare in silenzio se necessario.
Farla sentire amata. Farle sentire la presenza. Farle sentire tutta la pace che si può.

Il problema,
almeno per me,
è uscire dall'hospice.
Uscire dalla luce, uscire dalla pace,
Essere ributtati nel quotidiano.

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A cosa serve una Taverna così piena di un nero elenco di cose negative?
Giorni, mesi, anni complicati.
Cuore ricucito in più punti.
Anima precaria.
Stanchezza, tanta, tantissima.
Senso di mancanza, forte.

Ne uscirò.

24.6.15

Ultimamente è un continuo ricevere colpi al cuore.

E mi fanno sentire vecchia e così instabile.

Se solo piangere risolvesse qualcosa, lo farei; se mi togliesse almeno per un po' la sensazione di avere delle tenaglie piantate dentro, lo farei con meno remore.

Lacrime invece chiamano altre lacrime e altro dolore: è questo il "diventar grandi"?

17.6.15

otto e quattro

Otto mesi che non sei più a lavoro,
quattro mesi che non sei più punto.

Il tempo è strano, dilatato e ristretto insieme.

Ricordo la tua risata,
che ritrovo in quella di tuo figlio
e ogni volta resto interdetta.

Manchi.

Tanto.

16.6.15

Dimenticare la cartelletta con tutta la propria storia clinica.
Dimenticarla nella farmacia di fronte l’ambulatorio dell’ultima visita in cui ti hanno confermato che sì, sei cronica al quadrato e che sì, sei cronica “strana” che a noi la normalità non piace.
Accorgersene solo perché quelle anime pie della farmacia se ne accorgono e ti telefonano dopo 3 giorni che per grazia ricevuta ci deve essere stato il tuo numero di cellulare da qualche parte lì dentro.

Come lo vogliamo chiamare?

Arteriosclerosi o Rifiuto del riconoscersi come malato?


Adesso ci rido e mi do della “cronica al quadrato”. Ma al momento, scoprire che al mio sistema immunitario oltre che il mio intestino fa schifo anche la mia pelle non è stato molto piacevole…

29.5.15

Stare un passo indietro
pronta però per fare due balzi in avanti, se necessario.
Anche con i tacchi.

Quanto è difficile.

Oggi mi manchi tanto O. , lo sai?


27.5.15


E in mezzo al tutto
ho questi occhi.
Da quanto tempo non erano così verdi, così a lungo?

6.5.15

E poi...

E poi arrivò la tempesta.
E fu come se non avessi mai visto la pioggia.
Come se non avessi mai visto un temporale.
Come se non avessi mai visto la forza distruttrice della natura.

E poi arrivò la tempesta.
E il vento dal quale mi lasciavo attraversare si oppose
e cercò di abbattere ogni muscolo, ogni volontà,
lasciandomi senza forze e senza voce.

Sono sola come dice Quasimodo?
Sono un'isola ?
Sono esanime, con il cuore a pezzi e l'animo in tintoria.


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Quattro by pass coronarici d'urgenza a mio padre.
Ecco il bottino spiccio dei giorni d'assenza.

8.4.15

Post pacco variabile

Ultimamente le cose sono un po' in salita, fisicamente e umoralmente.
Pensavo di aver fatto un passo avanti con il superamento del lutto, invece l'ennesima cattiva notizia mi ha devastata.
In questo caso è una malattia che dura anni, direi decenni, lenta che logora e peggiora invece di migliorare.
Una cosa che si sa, si attende, ci si aspetta.

Ma non si è mai pronti.

Non ci sono momenti migliori di altri, o parole più giuste di altre: non si è mai pronti a sentirsi dire: "sta andando, non lo vedrai più".

Si pensa di avere tempo per tutto: lo farò domani, lo sistemerò domani, ci parlerò domani, lo bacerò domani, gli chiederò se serve aiuto domani.
Domani
domani
domani.

avrò tempo prima che arrivi il temporale.

E invece il tempo non basta mai.

Quanto mi mancano le persone che mi hanno lasciato per sempre?
In questo momento mi mancano infinitamente: per gli occhi che non vedrò, per le parole che non mi diranno, tutto quello che non potrò condividere.

Venerdì santo sono finita in pronto soccorso.
Dall'autoradio, in macchina con Marito, è partita la nuova canzone di Cesare e mi sono messa a piangere, perché non l'avevo ancora sentita e quando era uscita "il comico" nel 2012 l'avevo sentita per la prima volta in macchina con marito in direzione ospedale per il ricovero per Crohn.
Ho pianto, perché sono in un periodo in cui mi risulta difficile scendere a compromessi con la mia malattia e con tutto quello che comporta e invece si torna sempre lì.

All'equilibrio da mantenere, al cerone per nascondere le pieghe del volto crepato, al domani che ci chiama e ci promette che ci sarà ma che in realtà è un bugiardo che non dice se ci sarà esattamente proprio per te.

Ama adesso, vivi adesso e blablabla, quando leggevo cose come questa mi sembravano cose belle ma anche un po' "sciocche". E invece l'adesso è l'unico momento di cui veramente si può avere certezza.

Perché è adesso che ho una vita da vivere, anche nel dolore, ma da vivere tutta.
E non aspetterò domani per dire alle persone a cui voglio bene che le amo.

Non cambierà niente, infondo, non è che le perdite saranno meno dolorose, ma almeno non starò chiusa in una stanza, seduta su una sedia, addolorandomi per tutto quello che avrei potuto fare e dire e abbracciare e che invece non ho fatto
perché
credevo
nel domani.

6.3.15

Stupore

E' stata una settimana lunga e brevissima allo stesso tempo.
Una settimana lavorativamente intensa, densa e a tratti allucinante.
Una settimana di sconvolgimenti dettati dal vento forte e dalla luna piena che ha fatto da calamita a tutti i neripensieri, tirandoli fuori in una volta sola, come un ciclone.

E poi oggi, a tavola, per l'ennesima volta a pranzo per lavoro,
con un vino meraviglioso,
con un ritardo nel servizio di 1 ora,
si è partiti con mille discorsi densi e importanti
discorsi corposi, opinioni cristalline, parole profumate di vita vissuta
e l'Orsa si è sentita bene.

Ma bene bene e "grande", nel senso di "adulta".
Una sensazione strana, specialmente dopo il mare in tempesta di ieri.

Mi sono ubriacata di vita e serotonina.
E, che dire.

UAU.

Così, giusto per continuare la sequenza positiva...
....Qualcuno ha del Sagrantino e dei sigarilli alla Vaniglia?


5.3.15

Il vento di marzo scombussola animi e cuori: finisce sempre che mi oppongo al suo flusso e invece di farmi attraversare, lo combatto; il risultato è un umore ballerino tendente all'arrabbiato, un sorriso assente, uno sguardo torvo.

Il vento di marzo arriva per alzare la polvere dell'inverno e spazzarla via lontano, per pulire il terreno e fare posto alle cose nuove, alla vita che rinasce.

Il vento di marzo non pensa.
Io sì.

E il risultato è un dolore fisso alla base del cuore, un senso di solitudine, di perdita, di mancanza.
Sono stanca di una situazione che non cambierà e che non posso cambiare e per quanto ami parlare di moto e sport, sono stanca di non poter parlare di libri, di film stupidi, di ricette ed errori in cucina. 

Mi sento come se la bolla in cui lavorativamente ho vissuto in questi mesi, fosse esplosa improvvisamente.
Mi sento come se avessi vissuto a testa bassa per tutto il tempo e ora che alzo la testa, mi accorgo del devasto che ho intorno. 
Di quello che non c'è più e che non tornerà.

Mi sento sola qui.
Mi fa un male tremendo.

23.2.15

Stagioni

Con questa luce del tramonto,
gialla, carica d'oro,
con questa luce
tutto
ma proprio tutto
è possibile.


17.2.15

Cosa

Cosa ho imparato da te?
Cosa mi  hai lasciato?

Ho una valigia piena di nozioni e di modi di fare.
Ho uno scaffale con le tue ricette e le tue risate.

Ho labbra che sanno fare silenzio, quando necessario.
Oh!! Quanto è stato difficile impararlo!!
"Tacere Tacere Tacere.
E il momento del riscatto arriverà!"
Quanto dannatamente avevi ragione...

Ogni volta che lascio carte in giro per l'ufficio, alla sera, sento la tua voce che mi ammonisce "non sei abbastanza ordinata!" e a costo di fare tardi, torno indietro a mettere a posto, che "del doman non v'è certezza" e tu più di ogni altro l'hai ben dimostrato.

Mi hai lasciato ricordi felici.
Tanti ricordi felici.
Tante piccole sciocchezze, che quando le penso fanno ridere me e quelli a cui le racconto
e lasciano in bocca un dolce sapore di ricordo
e non quello amaro dell'abbandono.

Ci sei e ci sarai sempre.
E forse, quel senso di vuoto che sentivo oggi,  quella voragine stretta e sottile, non era davvero vuoto, ma la tua presenza che mi si è piantata nel cuore, e ha messo radici nel fondo più profondo, insieme agli affetti che ho già perso, insieme ad altre memorie leggere.

Lacio Drom


13.2.15

Dolori

Il dolore,
quello forte, quello travolgente,
me lo sono sempre immaginata come una bestia incatenata che urla.
Urla, urla fortissimo e ti fa salire l'ansia, ti fa accelerare i battiti e il respiro e l'ultima cosa che si ha voglia di fare è quella di andare incontro a questo dolore, vederlo in faccia, scontrarcisi per uscirne vincitori o vinti ma almeno uscirne.

Solo oggi mi sono accorta,
nel silenzio della stanza, mentre facevo entrare la luce di questo giorno grigio dalle tapparelle, mentre il battito aumentava e il respiro si faceva affannoso di paura, mentre lui urlava,
solo oggi mi sono accorta
che questo dolore, quello che provo ora e da qualche tempo
è solo un piccolo bimbo in fasce che piange e urla e si contorce perché non è in grado di badare a se stesso;
solo oggi mi sono accorta
che le urla che tanto mi spaventavano erano solo amplificate dal  mio torace che faceva cassa di risonanza.

Solo oggi mi sono accorta
che questo dolore ha solo bisogno di essere preso per mano per essere quietato
e per la prima volta in vita mia,
questo dolore
mi ha fatto tenerezza.

12.2.15

Sogni

Ti ho sognata questa notte.
Come è già successo, in questi mesi.
Ma questa notte è stato diverso, perché ti ho sognata ammalata.
Ti ho "vista" nel sogno come ti hanno descritta ieri, come non so se ti vedrò mai, ma è stato un attimo: poi sei tornata tu, con le unghie perfette, laccate di rosso, i capelli lunghi raccolti e il trucco; ma restavi comunque a letto e comunque non parlavi.

Ti ho preso la mano
e ho notato ancora quanto fossero sottili le tue dita e quanto fosse stretta la tua fede.
Ti ho preso la mano
e ti ho ringraziata.
Per tutto quello che mi hai insegnato, per tutto il bene che hai voluto a me e all'Orsetta, ti ho detto quanto mi mancavi e quanto avrei voluto che fossi con me e tu sorridevi e respiravi piano.

E poi guardavo a terra
e quando alzavo lo sguardo non eri più in un letto, ma in una bara
e intorno tutto era pianto
e mi guardavo le mani
ed ero io, ora, ad avere lo smalto rosso.

Mi sono svegliata senza respiro e con la paura di accendere il cellulare
e poi ho scoperto che invece, hai avuto una buona nottata.

Chissà se sono venuta nei tuoi sogni.
Io ci credo ancora, che sia possibile.

29.1.15

Puccettino

E' comparso ieri.
Saltellando, nel prato, e spingendosi poi, tutt'altro che pauroso, vicino alla finestra del soggiorno.
Questa mattina l'ho salutato, aprendo la persiana, mentre stava facendo colazione con delle golose bacche rosse.
A mezzogiorno è venuto a tenermi compagnia alla finestra della cucina mentre cucinavo.
Ecco, mi ha rapito il cuore.

Puccettino.

M'è venuto da chiamarlo così,
è un pettirosso di quelli che non vedevo da anni, che mi riportano indietro ai tempi della mia fanciullezza, quando mio padre vangava nell'orto e per tutto il tempo un pettirosso aspettava paziente di trovare tra le zolle di terra un succoso vermiciattolo. Quante volte avrei voluto avvicinarlo! Mai, mai, mai stato possibile. Gli facevo paura.

In questi giorni di febbre da cavallo che ha colpito tutta la famiglia Orsi, Puccettino è un simpatico intermezzo tra un aerosol e una tachipirina.

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Mesi di silenzio.
Mesi pesanti duri e dei quali faccio fatica a parlare.
Ma si riparte, si ricomincia, si va.