17.11.08

ritorni

Sono in un periodo "un pò così" della mia vita.
E non state a ripetermi che ciclicamente queste cose tornano, perchè lo so da me.

Sono tre giorni che vorrei scrivere un post e ho il blocco.
Vorrei scrivere una e - mail a Giorgia e ho il blocco.
Vorrei scrivere una lettera a mia cognata lontana e ho il blocco.

E che noia! "Il blocco", "il blocco!", neppure fossi un lucchetto o un pc con il sistema operativo infettato da un virus.

La verità è che mi sembra di non avere pieno possesso delle parole che uso: mi sembra di non saper spiegare davvero quello che sento, quello che sto provando, senza risultare monotona, e piatta.

Forse questo mi accade perchè insieme ai problemi digestivo-intestinali che mi sto portando dietro da mesi, allo stesso modo non so più metabolizzare le emozioni e trasformarle in parole e sapori: mi manca questa cosa. Oggi ho bevuto un sorso di Inferno vendemmia 2000 e mi ha solleticato il palato gorgogliandomi in gola "sono come..." ma si è perso nei meandri del mio esofago, nascosto dal rumore del cuore e da quello della cassa toracica prima che potessi capire la fine della frase.

Eppure accanto ai "disastri" della vita, sto vivendo anche cose belle, intense e piacevoli, non posso certo dire che la mia vita è solo un enorme scatolone nero!

Ma qui non è più questione di positività, è questione di diventare realisti, rimboccarsi le maniche e scavare fino a trovare la luce dentro questo dannato tunnel. L'ho fatto altre volte.

Speravo di aver smesso.

5.11.08

pensieri

Per un singolare gioco di luci e riflessi, accendendo i quattro faretti in stile moderno, posti come acrobati o spade di Damocle su paralleli cavi d’acciaio sopra il fax, compaiono sul muro due gabbiani stilizzati, come quelli che si usava fare da bambini: due semisfere consecutive a rappresentarne le ali.

In questa giornata di corsa, mentre invio manualmente un fax mi perdo a guardare quel disegno azzurrato: i vetri dei faretti, scopro dopo mesi, sono in realtà azzurri pur dando una calda luce gialla.

Sembra di sentire il lontananza il rumore della risacca, che porta alla luce altri sapori, altri ricordi.

Mi guardo intorno e sento l’aria pesante e non sono le finestre chiuse: per come è cambiato questo posto in questi anni, non basterebbe lasciare aerare il locale per una settimana.

Per togliere la cenere di malignità, i pensieri cattivi, gli odi inespressi, dalle pareti, dalle piastrelle, non basterebbe un nuovo colore di vernice, ne una fornitura di ammoniaca per un anno.

Mi sono persa l’attimo in cui è cominciata questa parabola discendente.

Eppure ero qui.

Ma forse non capivo, ed ero ancora persa a guardare altri gabbiani.