21.2.11

Post pacco

Questo è un post lungo e un pò pesante, ma devo scriverlo. Almeno siete avvisati!
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C'è stato un post in questi giorni (sono 2 in realtà, vi metto il link alla "versione breve"), che mi ha fatto riflettere e pensare: la morte è un tabù e pure la malattia.

La mia esperienza di vita, a contatto con la malattia cronica dei miei cari, mi ha mostrato quanto questo sia vero: la malattia, l'arrivo della morte, sono un tabù che si evita di sviscerare con gli "estranei", con i parenti e a volte si arriva anche a negarla a se stessi; il venire a contatto con storie come quella di Wide ha cambiato molto il mio modo di vedere le cose e di relazionarmi ad esse: così, ieri, tra una tazza di the e una fetta di torta, si ironizzava con una coppia di amici della malattia di lui, superata ok, ma pur sempre di tumore si stava parlando. E ho preso quella "confidenza" come uno dei più bei gesti di affetto che avrebbero potuto farmi: arrivare ad avere talmente stima dell'altro da pensare che capirà che ci scherzi su e ironizzi per togliere tutta quella patina di nero che ha lasciato nel tuo passato è qualcosa di meraviglioso. Mi sono sentita lusingata, sul serio, e di questo modo di reagire devo davvero ringraziare le mie cancer-bloggers!

Per quanto riguarda la morte invece, resta un bel tabù.
Molti mi direbbero che in gravidanza, dovrei avere solo pensieri belli e positivi, e fondamentalmente è vero, ma non posso arrivare a fare finta che queste cose non esistano.

Ogni mese faccio la visita ginecologica, per la mia gravidanza che avanza: non avendo un ginecologo di fiducia, mi sono affidata alla sanità pubblica. Non essendoci posto nell'ospedale dove desidererei partorire, mi mandano a fare le visite nell'ambulatorio dell'ospedale affiliato: i medici sono gli stessi. L'ambulatorio è nella parte ristrutturata dell'ospedale, dove c'è un hospice. Per chi non lo sapesse, per farla breve, è un luogo dove portano i malati terminali e offrono loro cure palliative e psicologiche. C'è l'ingresso, una grande hall, un grande luogo pieno di luce dove i malati e i parenti possono parlare, poi a destra ci sono i reparti dell'hospice e a sinistra il piccolo ambulatorio. Nessuno vede niente fisicamente del reparto, gli spazi sono molto molto grandi.

Però.
Però alla prima visita, quella in cui vedi per la prima volta l'inquilino, quella in cui hai un sorriso a 45 denti e la vita che sprizza da tutti i pori, succede che (come capita spesso, purtroppo, credo) muore un paziente dell'hospice. E succede che i parenti, dovendo lasciare libera la stanza, si riversano in lacrime e lamenti nel parlatorio luminoso e ampio. A due passi da me (e dal resto delle gestanti in attesa). E inevitabilmente ti stringi a uovo sul ventre, abbracciando quell'esserino così fragile che è ancora in bilico lì sotto, e cerchi di voltarti, di non ascoltare... il silenzio del reparto e i lamenti soffocati.
E poi.
E poi succede che in ginecologia fanno ritardi sistematici e allora attendi più di un'ora. I parenti sono andati via, la luce si riversa nel parlatoio vetrato, cancellando l'attimo che c'è stato. E vedi arrivare il malato che prenderà il posto di quello appena deceduto. E non puoi non pensarci a questa morte che aleggia dietro all'angolo di quel muro, mentre di qui si respira la vita in arrivo. Ma non ci riesci, non ancora, ad ironizzarci su.
Spieghi al tuo esserino, che ne sei convinta ti sente, che la vita comprende anche questo.
E poi torni a immergerti nella luce.

8 commenti:

widepeak ha detto...

e in quella luce meriti di riposare adesso. ti abbraccio

widepeak ha detto...

riposare nel senso di covare, nel senso più vitale del termine, eh, non fraintendiamoci ;)

Anonimo ha detto...

hahaha!! Certo Wide!! :)

OrsALè+1

Anonimo ha detto...

Morte e vita sono parole diverse ma che non possono esistere da sole, l'una ha necessariamente bisogno dell'altra per avere senso. Apparentemente antitetiche, estranee a loro stesse ma così vicine e legate inscindibilmente.
L'una porta l'altra, la vita porta alla morte, la morte porta alla vita (per chi ci crede).
Viviamo in una società che però ha cancellato tutto ciò che è morte e malattia... belli gli hospice, ma non sono che un ennesimo tentativo di farci dimenticare la nostra più grande nemica, l'unica certezza della vita stessa (paradosso!), l'unica cosa che serve a riflettere sul senso della vita, già colei che abbatte la vita è anche l'unica che ne può svelare il senso.
Francesco la chiamava "nostra sorella morte" forse lui, povero pezzente, c'era arrivato a capirlo prima dell'uomo postmoderno che fonda tutto sulla razionalità.
Bello l'hospice, tutto costruito per evitare che si ricordi il lutto dell'abbandono di questo mondo, tutto come per ovattare la sofferenza e il dolore senza i quali la vita non sarebbe tale, tutto pensato nel tentativo di relegare la morte e la sofferenza ad un luogo, chiuso, circoscritto, che non sia la casa, il vero luogo dove la vita cresce e si sviluppa e forse l'unico luogo dove ognuno desidererebbe finire i suoi giorni, tra gli affetti, nello svolgersi della vita degli altri perchè in quella ha sempre vissuto.
Sarà un caso che il tuo ginecologo abbia l'ambulatorio proprio in quel posto, ma mai luogo forse è più azzeccato per riflettere sul senso dell'esistenza. Vita in germe e vita vissuta si incontrano, quasi a far pensare che ciò che mettiamo al mondo dovrà trovare un significato al suo stare nel mondo. Ricordarci che tutto finirà, anche se non sappiamo quando, ma che in vista di quel traguardo ci dovremo preparare e sarà proprio quella tappa necessaria a svelarci una nuova vita che non finirà.
Un abbraccio e Buona attesa!

Anonimo ha detto...

Grazie del commento Lore, non mi aspettavo mi leggessi ancora!

Non sono d'accordo molto per quanto riguarda l'hospice: non so se hai mai avuto a che fare con un malato tumorale di quelli che lentissimamente arrivano alla morte, di quelli (tipo una cara signora amica di D) che hanno ad esempio un tumore alle ossa e fanno ANNI di sofferenza e arrivano a chiedere di PREGARE PER LA LORO MORTE...(e l'ho fatto. A Fatima. Ed è stata una cosa difficilissima. ) Per entrare in un hospice le liste d'attesa sono infinite e la maggior parte dei malati resta a casa... Ma se tu sapessi la sofferenza e il disagio e il senso di inadeguatezza dei famigliari in quei casi, se tu conoscessi il dolore che prova il malato, allora forse anche quelle cure palliative e psicologiche (che non rendono meno traumatico il passaggio) le capiresti di più.
Se avessi visto il dolore del mio testimone perchè non è riuscito a fare il massaggio cardiaco al padre, morto di tumore al fegato a casa, capiresti perchè molti cercano un appoggio sanitario competente (non sarebbe stato quello a salvarlo, ma comunque il senso di non competenza resta).

Chi "riesce" ad entrare in un hospice, non è per essere abbandonato a se stesso. Non è perchè così i parenti possono darsi alla bella vita. Non è da tutti prendersi cura bene di un allettato, evitare le piaghe da decubito, avere dimestichezza con flebo e terapie.

Come cristiana cerco di tendere alla santità che ha permesso a S. Francesco di dire quelle parole.
...Ma sono pur sempre umana [E anche Gesù Cristo ha avuto paura di morire].

Un abbraccio e spero a presto

OrsALè +1

Anonimo ha detto...

E ogni tanto... ogni "tanto" leggo il tuo blog...
Non volevo essere troppo deciso ma credo che oggi gli hospice sono davvero l'ultimo baluardo di chi voglia nascondere il problema (perchè di problema si tratta) della morte.
Non discuto sulla competenza e sull'amore e la passione di chi in quei luoghi lavora, ne ho conosciuti e resto tanto edificato ogni volta. Ma nessuno è competente davanti alla morte. Nessuno lo sarà mai.
Non è certo una bella cosa il morire, è il contrario della vita, credo che sia normale averne paura.
Come del resto è normale pregare perchè le sofferenze finiscano (nel bene e nel male) ma in tutti questi discorsi ci si può sentire tutelati perchè "meno male che c'è chi ci aiuta a viverli bene".
Davanti alla morte si è soli, è l'unica cosa che non si può condividere fino in fondo con nessuno.
Ma a questo punto dovremmo chiederci cosa significa "aiutare a morire" qualcuno.
Davanti a questa nemica nessuno è contento, e nelle persone vicine al morente ci sarà sempre senso di inadeguatezza, incomprensione, non senso e disarmante incapacità di cambiare le cose, sia in hospice, sia fuori.
Per fortuna non conosco così da vicino il dolore del malato, ma a volte credo che sia più la sofferenza dei parenti a creare problemi perchè soli e incapaci di comprendere un mistero.
Un ambiente idoneo potrebbe aiutare, non discuto, a superare o condividere la sofferenza, ma perchè relegarlo ad un luogo fisico, chiuso ed emarginato?
Il problema allora è un altro.
Non è che la nostra cultura che ci impedisce di parlare di sofferenza e morte (lo fa solo quando fanno spettacolo), proprio perchè è la culla dove viviamo e dove insieme condividiamo e ci aiutiamo a vicenda, dovrebbe garantirci un ambiente dove non la si elimina ma la si accoglie nella nostra limitatezza?

Anonimo ha detto...

Sai Lore, è in parte quel che hai scritto che mi ha convinta a scriverne un post.

E' vero che, specialmente ultimamente, la sofferenza e la morte vengono usate solo come "spettacolo" a cui assistere (vedi ifunerali dei vips.

Ti invito a leggere il blog della Wide, giusto perchè ha dato il la alla questione, ma scoprirai quanti blog satellite ci sono.

Come ho scritto a lei, io non dico che il mio modo di vedere sia quello corretto e sopra di tutti, ma credo che il parlarne e il confrontarsi aiuti: lei lo vede da malata, noi da possibili parenti e via dicendo: in una società che ha evidenti questi tabù, credo che uno dei pochi modi per "combatterli" sia creare situazioni di dialogo pacato e di confronto.
:) e il fatto che tu ti sia sentito chiamato in causa tanto da commentare lo trovo molto bello.

OrsaLè+1

ziacris ha detto...

La morte fa parte dellavita, però un conto è dover morire di vecchiaia, spegnendosi come una candelina, un conto è sentirsi dire "devi morire" e la parola cancro o tumore porta sempre a quello al dover, come se fosse un obbligo lavorativo.
Ma tu vivi serena questo meraviglioso momento, devi viverlo serenamente perchè il pirullino o pirullina che alberga nella tua pancia si merita tutto il meglio che la vita gli o le può riservare