Il cuore mi diceva di andare a trovarlo domenica, ma il fisico non ha retto.
Poi gli impegni, hanno preso il sopravvento, ma l'inquietudine è rimasta, dentro.
Come era già successo per mia zia.
E poi in un attimo è andato.
Stanotte.
Lucido fino alla fine.
Solo che io, complice questa mancanza, all'annuncio telefonico sono scoppiata in un pianto disperato.
Di fronte a mia figlia e a mio marito.
Mi sono seduta sul letto e ho pianto come un vitello, insultandomi per non aver ascoltato ancora una volta quello che insistentemente diceva il mio cuore.
Mamma quanto ho pianto.
Un pianto disperato e non certo silenzioso.
E mia figlia, resa edotta da suo padre sull'accaduto ha detto:
"Adesso ho capito. Allora è così che piange un adulto."
Ho cercato di ricompormi, e le ho spiegato i sentimenti che mi giravano dentro ed era giusto che venissero fuori, perché se no mi avrebbero fatto male.
Mi ha vista ridere, stare male, arrabbiarmi. Piangere effettivamente, non l'avevo mai fatto di fronte a lei. Perché l'idea è che la mamma debba essere roccia, porto sicuro, acciaio che non si spezza. Ma vedere che le mamme possono crollare per poi ricomporsi più solide di prima, sarà un bell'insegnamento lo stesso e me ne sono resa conto solo ora.
Eccolo, il granoturco che lo zio non vedrà maturare.
Ecco il ricordo indelebile di questo giorno, insieme alle parole di mia figlia:
Allora è così,
che piange
un adulto.